“Perché parcheggia nello stallo riservato alle persone con disabilità se cammina?”, è una frase di tipo discriminatorio quando giudichiamo una persona con disabilità invisibile. Siamo sempre abituati, per stereotipi e preconcetti sociali, che la persona con disabilità ha una raffigurazione ben riconoscibile o da un’immagine non standard o nell’utilizzo di ausili ben visibili come carrozzina, protesi, stampelle o bastone.
Ed è qui che, più o meno, inconsapevolmente andiamo a compiere una forma di discriminazione velata: considerare una persona disabile (funzione di etichetta) solo se rimane incasellata in alcune skills fuorvianti.
La macro classificazione delle persone con disabilità, ad oggi, deve invece tener conto di tutte quelle persone con disabilità invisibili, che comunque vanno a modificare una condizione o lo stile di vita della persona e quindi anche del lavoratore. Non più solo disabilità motorie, intellettive o sensoriali, ma è bene considerare anche le disabilità invisibili, che apparentemente non sono riconoscibili, ma che richiedono attenzioni e necessità ulteriori per lo stile di vita.
Secondo l’Istat il numero totale di disabili in Italia è 12,8 milioni (di cui 3,1 milioni presentano una disabilità grave), che corrisponde al 21,3% della popolazione italiana e include una gamma più generalizzata del concetto disabilità.
Una disabilità invisibile può includere deterioramento cognitivo e lesioni cerebrali, lo spettro autistico, ansia, depressione, diabete, problemi cardiaci, spettro autistico, malattie croniche come sclerosi multipla, stanchezza cronica, dolore cronico e fibromialgia
Le stime in Italia affermano che il 93% delle persone che ha una disabilità non la dimostra, si tratta quindi, di disabilità invisibili.
Tutto questo ricade anche in ambito lavorativo, con non poche difficoltà gestionali per i lavoratori, che spesso si sentono non creduti o minimizzati, portando anche a discussioni influenzate da atteggiamenti abilisti, che costringono la persona con disabilità a sentirsi in colpa per la propria condizione e a subire discriminazioni continue da parte di chi è convinto che l’unica disabilità sia quella che includa una carrozzina o una diversità visibile. Le disabilità invisibili possono essere anche degenerative, quindi subire un incremento di gravità che porta ad una revisione temporale delle necessità. Pensiamo ad esempio ai bisogni che cambiano nella scelta degli arredi di un ufficio o nell’orario di lavoro o nelle mansioni stesse. Ecco che in questo caso, la figura del disability manager potrebbe aiutare e supportare questo percorso.
DISABILITÀ INVISIBILI E MONDO DEL LAVORO: COME COMPORTARSI?
Per le persone con disabilità invisibile può essere difficile parlare della propria situazione, soprattutto nel contesto lavorativo, che mira alla performance e alla produzione, azioni che possono essere molto complicate in questi casi. Non parlarne può sembrare la soluzione migliore, ma questo atteggiamento può portare a lungo termine a uno sforzo elevato. In certi casi si può arrivare anche al burnout.
Ci sono modalità per affrontare tali situazioni:
- molte persone che hanno una disabilità invisibile scelgono di non parlare della loro condizione al lavoro. Altre invece vorrebbero, ma non sanno come iniziare una conversazione di questo tipo, sia con superiori e con colleghi;
- incentivare il lavoro ibrido da remoto, un’ottima modalità per essere operativi ma in una condizione di maggiore fruibilità;
- incentivare l’utilizzo degli accomodamenti ragionevoli come modalità facilitatrice per riformulare una modalità lavorativa adeguata alla propria condizione.